L’haute
couture vola via veloce: poche griffe storiche, niente calendari fiume come nel
prêt-à-porter. Personalmente sento la mancanza solo di Riccardo Tisci per
Givenchy, ahimè desaparecido da qualche stagione. Ma tra i partecipanti quelli
imprescindibili sono sempre gli stessi che ogni volta puntano a superarsi l’uno
con l’altro.
Per
l’autunno-inverno 14-15 direi che lo scettro se lo sono conquistato
Giambattista Valli e i soliti Valentino Chiuri-Piccioli. A seguire di un’incollatura
Dior, Chanel e Maison Martin Margiela.
Erede
dei grandi sarti italiani alla Capucci, Valli porta avanti la sua idea di
donna-fiore leggiadra e bellissima qui in una delle sue incarnazioni più
riuscite: tra righe e ricami lussureggianti ispirati ai giardini dell’Alhambra,
tripudi floreali, panneggi scultorei, colori spettacolari, silhouette femminili
e fluide e un tocco di glamour vecchia Hollywood, specie nei foulard legati
sulla testa e negli occhiali da sole rétro.
Divertenti e chic i look che
inglobano giacche da pigiama maschile e vesti da camera.
Favolosi come sempre i
gioielli di Luigi Scialanga, davano il meglio di sé sulle tuniche da
sacerdotessa.
Una
cosa evidente è che le sfilate migliori hanno funzionato da macchine del
tempo, giocando con un passato più o meno remoto modificato attraverso spirito contemporaneo
e sensibilità personale.
È
il caso del duo delle meraviglie Chiuri-Piccioli che trasportano la loro fanciulla
- delicata come poche e austera anche con scollature abissali - dalle parti di
un’antichità greco-romana. Un po’ vestale, un po’ Artemide, la creatura di
Valentino è di una purezza senza eguali, indossa pepli d’impareggiabile sobrietà,
vestiti monospalla e busti imbrigliati in cinghie di pelle da dea della caccia,
sandali alla schiava alti fino al ginocchio, decori mutuati da vasi e anfore,
motivi preziosi ma anche piume da arpia e veli da ninfa.
Magnifici i soprabiti.
Unica
nota stonata Kim Kardashian con décolleté panoramico non esattamente in linea
con tanta leggiadria. Ma sul rapporto tra case di moda, Kim & co ci sarebbe
da aprire un capitolo. Della serie non ci sono più le Audrey di una volta.
Da
Dior Raf Simons ha distillato un viaggio nel tempo che va dalle esplorazioni
sulla luna agli anni Cinquanta, fino alla corte di Maria Antonietta, le cui gonne
a panier possono essere considerate una sorta di antenate della linea Corolle di Monsieur. Quindi ispirazione
storica + ossequio agli stilemi della maison. Ovviamente tutto secondo la logica
Simons, quella di un’essenzialità ultracontemporanea ed elettrizzante capace di
rendere il più classico dei ricami futuribile come un ologramma.
Top del top le
marsine di rara bellezza e sontuosità abbinate a pantaloni e bluse minimali.
Gli
abiti rispetto al solito erano più a mongolfiera - ferme restando le silhouette
Fifties -;
geniale l’unione tra corsetti che sembrano usciti dall’atelier di
Rose Bertin e pantaloni tecnici con zip sparse.
Splendide le tute da astronauta,
i cappotti lunghi in stile Edoardiano e i baveri extralarge delle giacche Bar.
CHANEL
Da
Chanel una notevole commistione di Barocco e linee essenziali ispirate all’architettura
di Le Corbusier; al Palais Royal si respirava un po’ l’atmosfera della sequenza
finale di 2001 Odissea nello Spazio. Il
risultato è una sorta di Barocco metropolitano plasmato attraverso i capisaldi Chanel
e i pezzi forti del Lagerfeld style: molto tweed, pistagne a cratere, bottoni
gioiello e lavorazioni pazzesche.
Tra le cose che mi sono più piaciute i calzoncini che spuntavano ovunque,
perfetti insieme ai ciuffi punk, alle tracolle e ai sandali flat (di cui ignoro
il senso, considerato che si tratta d’inverno) per rendere sciolti e
freschi anche tailleur decisamente ladylike. Sarà perché mi ricordano i
ciclista di Versace ma li ho adorati.
I ricami erano prevedibilmente
la punta di diamante di questa haute couture molto più bella in movimento che
nella staticità delle foto, al netto di alcuni outfit ridondanti, già visti e
non proprio azzeccati. Per me numero 1 pari merito questi due look che combinano
virtuosismi da inchino, ghirigori e femminilità con un’indole guerriera.
Anche qui
come per la Diana cacciatrice di
Valentino e le marsine di Dior, gli outfit migliori sono quelli in cui s’innestano
suggestioni maschili. Il finale è un tripudio di cristalli e fianchi bombati.
La
sposa incinta era un tantino solenne, quasi pronta per un’incoronazione.
MAISON MARTIN MARGIELA
Finiamo
con Maison Martin Margiela, dove la rivisitazione del passato è una costante. La
linea Artisanal punta infatti sulla customizzazione e sul mix d’introvabili
capi d’archivio e gli esiti sono immancabilmente sorprendenti. Così cappotti di
Poiret - che non oserei sfiorare nemmeno con un dito - si fondono con monete
antiche, blouson da college anni Cinquanta, tessuti Luigi XV, abiti anni Venti,
fantastici ricami ispirati agli iris di Van Gogh.
Il risultato è di una
bellezza strana che non ha molto a che vedere con le mise da perfetta
miliardaria della couture classica ma che in definitiva rispecchia nella sua
assoluta e irripetibile unicità la vera essenza della couture.
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