Nota a "Gli s-contemporanei" di Vincenzo Trione


Chi sono gli s-contemporanei? A questa domanda risponde un interessante articolo di Vincenzo Trione, pubblicato su La Lettura, inserto domenicale del Corriere della Sera dedicato a letteratura, arte e musica.


Si tratta d’intellettuali, “critici che avanzano con lo sguardo al passato”, altrimenti definiti “sopravvissuti” in contrapposizione a “moderni”, secondo una dicotomia ideata dal maître à penser Alain Finkielkraut. Ma sopravvissuti a che? Alla logica vorace del capitalismo, che sottomette il puro regno dello spirito a spersonalizzanti dinamiche di mercato; al dominio delle avanguardie, che si liberano del passato come di un pesante fardello e rimuovono la memoria storica su cui si sedimenta la tradizione artistica occidentale.



Gli s-contemporanei disprezzano Koons, Hirst, Cindy Sherman e Nan Goldin; non prendono atto della scissione sempre più evidente tra bello e piacevole e si rifugiano in un criticismo anti-modernista; sanno bene che ormai il mondo dell’arte – come hanno messo in luce autori come Danto e Dickie – si sostanzia in relazione a soggetti istituzionali quali musei, gallerie ed esperti del settore (ossia che un oggetto assume una connotazione artistica in quanto inserito in un determinato contesto), ma considerano questa fattualità uno svilimento del senso profondo della Kunst.


Che si tratti in fondo di un’ennesima riproposizione della Querelle des Anciens et des Modernes? Certo, la questione di fondo messa sul tappeto è molto simile, ma vi è una differenza essenziale: gli Antichi e Moderni del XVII secolo, pur contrapponendosi, si muovevano in realtà all’interno dello stesso solco e non osavano dubitare dei concetti del bello e del valore estetico; la loro opposizione era profonda, ma si esplicava nell’ambito dello stesso ordine del discorso. Quelli odierni, invece, devono fare i conti con un contesto storico-sociale che ha visto nascere le avanguardie ed è stato teatro di cambiamenti radicali che hanno eroso progressivamente convenzioni plurisecolari.


L’intuizione su cui s’incardinano le argomentazioni di Fumaroli e Finkielkraut è molto importante: allorché l’arte si sottomette supinamente alle regole del mercato e l’avanguardismo finisce per rappresentare le istanze del futuro solo venendo a patti con le condizioni dettate dal presente, si vengono a creare tanti confini, entro cui bisogna saper muoversi per far parte dell’artworld e fortemente escludenti rispetto a tutto ciò che non è facilmente collocabile.


Eppure, gli s-contemporanei si arroccano a volte in un conservatorismo incapace di riconoscere la potenza del “nuovo”. Innanzitutto, che i riferimenti istituzionali (musei, gallerie, esperti e odierni mecenati) e la logica economica giochino un ruolo preminente non significa che le opere siano sempre prive di valore. Non è in fondo un’immagine idealizzata quella dell’artista libero e puro rispetto a interessi e condizionamenti?


Come dice Trione, questi autori “rischiano di cadere in un conformismo reazionario” e si dimostrano sordi rispetto al “mai detto” che s’insinua nelle pieghe dei lavori di tanti talenti contemporanei.

Il loro anti-modernismo si risolve spesso in un risentimento ingenuo e nostalgico, in una visione romantica che, sovraccaricando di significato il passato e rendendolo un’età dell’oro ormai perduta, finisce per demonizzare il presente e ne recide il legame con la storia della cultura. In questo modo viene minimizzata la carica sovversiva di determinate creazioni e l’oggi assume le sembianze di una “notte in cui tutte le vacche sono nere”. L’impressione è che a mancare nell’impianto argomentativo degli s-contemporanei, incentrato su una dicotomia fin troppo semplicistica, sia una visione dialettica della storia.


Fotografia e cinema hanno scompaginato i tradizionali confini dell’arte, influendo in maniera massiccia sui processi di creazione, produzione e ricezione. Dinanzi a questi cambiamenti non si possono chiudere gli occhi; non ci si può “turare il naso” – come dice Fumaroli – quando assistiamo a una mostra di Nan Goldin (di cui abbiamo parlato, non alla maniera degli s-contemporanei, su questo blog). Del resto, applicando i criteri di Finkielkraut alla musica, tutto ciò che viene dopo i Kraftwerk dovrebbe essere stroncato senza pietà a favore dell’esaltazione dei bei tempi andati. Chi potrebbe essere così miope?



Immagini: 1) Gilbert and George – Thumbing (1991), Tumblr; 2) Andreés Serrano – Blood and Semen III (1990), Tumblr; 3) Damien Hirst – For the Love of God (2007), Tumblr; 4) Jeff Koons – Balloon Dog (1993), Tumblr; 5) Paul Mccarthy, Spaghetti Man (1993), Tumblr; 6) Maurizio Cattelan, La nona ora (1999), Tumblr; 7) Tracy Emin, People Like You Need to Fuck People Like Me (2002), Tumblr; 8) Cindy Sherman, Lucille Ball (1992), Tumblr; 9) Nan Goldin, Amanda at the Sauna (1994), Tumblr; 10) Vanessa Beecroft, vb52 (2003), Tumblr.



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